Una promiscuità indispensabile

Estratti da una e-mail di Paola Zorzi:

(…) se da un lato condivido tutto il discorso e analisi su riuso, ristrutturazione e  ricollocamento dell’enorme patrimonio di archeologia industriale di cui sappiamo, allo stesso tempo non posso non pensare che questo non avvenga in un orizzonte critico che implichi la considerazione dell’enorme contraddizione a cui si accompagna. 

(…) la necessità di non rinunciare a una promiscuità, che ritengo indispensabile, fra produzione industriale di beni materiali  (ma non solo) alla quale non dobbiamo rinunciare in termini assoluti e produzione di beni immateriali, cultura compresa.  (…) non possiamo semplicemente accomodarci sul terziario ma essere coscienti rispetto a tutte le contraddizioni che la contraddistinguono.

Queste non sono solo legate all’abbandono sconsiderato nell’ambiente di strutture pachidermiche (che comunque nella loro pietrificazione architettonica attestano ancora, seppur indirettamente, di un tipo di produzione ormai superato e della divisione in classi di un passato non proprio remoto… e del conseguente sfruttamento che lo caratterizzavano) ma anche di un tempo in cui alle persone era sottratto il tempo materiale e la cultura  per potersi orientare verso qualsiasi occupazione che oltrepassasse il peso delle incombenze sopravvivenziali.

(…)
Oggi grazie alla tecnologia e ad una più equa suddivisione del lavoro (…) potremmo, quantomeno in termini teorici, vivere in un mondo più corrispondente alle aspettative (…) di una società composta di esseri umani dotati di un pensiero e intelligenza che non possono, o perlomeno non dovrebbero, essere frustrati come in passato.

(…)

In sintesi: tutto questo discorso per presupporre o calare la situazione post-industriale nell’arco di un orizzonte oltre che ricco di potenzialità anche critico che implica (…) una delocalizzazione speculativa piuttosto che  progressiva, ad un terziario chiamato a colmare un vuoto produttivo specchio di un mondo dai connotati se non proprio neocolonialisti molto dirigisti.

In effetti quel che si intende per società post-industriale dovrebbe comunque presupporre l’industria, una produzione di beni materiali che però, grazie all’alto grado tecnologico raggiunto,  dovrebbe coinvolgere  un numero sempre più esiguo di persone e dove la conoscenza e l’informazione, i servizi, l’istruzione di fatto dovrebbero essere determinanti.

al momento però se guardiamo al mondo nel suo insieme restano ancora in sospeso molti problemi.

Paola Zorzi 

Aprile 2022